Più 1.850 per cento in 12 anni, dal 1993 al 2005: è l’incremento record segnato dalla contraffazione dei prodotti, a scala mondiale, costato 270mila posti di lavoro in dieci anni, dei quali 125mila solo nell’Unione europea. Lo dice Indicam, Istituto di Centromarca per la lotta alla contraffazione: su questo argomento ha recentemente presentato uno studio che mette in evidenza le stime – in difetto – di un business in crescita. Le cifre definiscono un quadro poco rassicurante. Nel mondo, si valuta una quota di vendite di merci contraffatte sul totale fra il 7 e il 9 per cento; una ricerca dell’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) del giugno 2007 ha calcolato in 200 miliardi di dollari Usa i soli prodotti contraffatti che hanno varcato qualche frontiera doganale dalla produzione al consumo. E il volume, sottolinea Indicam, potrebbe raddoppiare se si tiene conto dei beni contraffatti prodotti e consumati all’interno della stessa area doganale, come sono per esempio quelle Ue o Nafta. I protagonisti del mercato occulto sono gli orologi (5%), i farmaci (6%), la profumeria (10%), ma anche audiovideo (25%), software (35%) e settori chiave del made in Italy come il tessile, la moda e l’abbigliamento (20%). Per contrastare il mercato nero della contraffazione la strada passa da un approccio globale, che coinvolga attivamente i principali Paesi di provenienza della merce: secondo lo studio Indicam, oltre il 50 per cento della produzione mondiale arriva dal Sud-Est asiatico, in testa c’è la Cina seguita da Corea, Taiwan e altri Paesi della stessa area geografica. Il bacino del Mediterraneo segue a ruota, con il 35 per cento circa della produzione contraffatta mondiale e i Paesi leader sono l’Italia, la Spagna, la Turchia e il Marocco; destinazione l’Unione Europea, gli Stati Uniti, l’Africa e l’Est Europeo. L’Europa è il primo acquirente dal Sud-Est asiatico dove, sul 100 per cento prodotto il 60 si imbarca per il Vecchio continente e il 40 è suddiviso nel resto del mondo, compreso l’autoconsumo. E l’Europa è sempre il punto di approdo, anche, per le merci provenienti dall’area mediterranea, insieme con gli Stati Uniti d’America, l’Africa e l’Est europeo. L’Italia brilla come produttore e primo consumatore in Europa, con un giro d’affari stimato fra 3,5 e 7 miliardi di euro; il 60 per cento è riferito a prodotti dei settori di abbigliamento e moda (tessile, pelletteria e calzature); il rimanente 40 all’orologeria, ai beni di consumo, alla componentistica, all’audiovisivo e al software. Secondo un’altra stima, più prudente e basata sulla proiezione a partire dai sequestri operati dalle forze dell’ordine, la cifra sarebbe ridimensionabile a “soli” 1,5 miliardi di euro. Il mercato della contraffazione si presenta spalmato su tutto il territorio nazionale, anche se esistono aree particolarmente specializzate in uno o più ambiti: la Campania per abbigliamento, componentistica e beni di largo consumo, Toscana, Lazio e Marche per la pelletteria, il Nord per componentistica e orologeria.