Bastano poche parole per identificare quella che è la mission di uno dei marchi più noti e celebrati del “semilavoratismo” italiano, autentico ponte fra materia e creazione, risultato di una evoluzione che non conosce soste…
… e che proprio nelle ultime settimane ha visto compiersi un altro, significativo passaggio, ovvero l’ingresso nella proprietà – dall’anno scorso interamente nelle mani di Luciano Caspani e dei figli Roberto e Barbara – del colosso austriaco Egger, che ne ha acquistato a fine settembre il 27,5 per cento, a completamento di un percorso annunciato un anno fa, quando le due realtà comunicarono ufficialmente il loro progetto di collaborazione.
E a dodici mesi di distanza siamo andati a Lissone, nel quartier generale di Cleaf, per chiedere proprio a Roberto Caspani di raccontarci questa esperienza. “Il nostro focus è produrre superfici innovative, che rispondano ai desideri di progettisti, designer, produttori di arredi. Abbiamo una visione industriale e un approccio creativo ed è indubbio che a questa nostra vocazione è importante aggiungere i valori che un formidabile partner come Egger può esprimere, anche a livello commerciale. Abbiamo la stessa visione del “sistema arredo”, al quale possiamo offrire prodotti complementari che ci permettono di dare risposte articolate e complete ad architetti e rivenditori; siamo posizionati in punti diversi del mercato, ciascuno con le proprie peculiarità, la propria storia, i propri riferimenti. Siamo entrambi molto attivi nel contract e sappiamo dove e come collaborare con successo: da qui la decisione di definire un rapporto in un’area geografica ben determinata, ovvero Germania, Austria, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Svizzera”.
Una esperienza che la dice lunga su come il mondo del semilavorato sia cambiato radicalmente e soprattutto sulla evoluzione di Cleaf, fondata nel 1975 da Luciano Caspani con il padre Agostino e il fratello Fausto (Cleaf significa appunto Caspani Luciano e Agostino Fausto). A lui, a Luciano Caspani va indubbiamente il merito di essere stata l’anima di questa avventura industriale, portando ad altri livelli l’attività più commerciale della famiglia Caspani. E oggi Cleaf genera un fatturato di 135 milioni di euro con 261 dipendenti.
“Negli ultimi dieci anni siamo cresciuti costantemente sia in termini di fatturato che nel numero dei nostri collaboratori”, ci racconta Roberto Caspani. “Abbiamo organizzato la produzione in quattro unità, tutte a poca distanza l’una dall’altra: nella prima ci sono le presse per la nobilitazione del pannello; nella seconda la produzione di semilavorati, dove negli ultimi due anni abbiamo fatto investimenti importanti nelle linee di squadrabordatura.
Nel “C3” abbiamo l’estrusione e tutti i processi connessi alla produzione di bordi in Abs, la strada che abbiamo scelto dopo aver dismesso completamente il legno; mentre le quarto stabilimento abbiamo le presse in continuo per il laminato.
Oggi Cleaf propone un pacchetto completo: pannello, laminato, bordo e semilavorati – dunque pannelli sezionanti, bordati e forati secondo le richieste dei nostri clienti – che esprimono la nostra filosofia del servizio all’architetto, all’industria, al contract. Non siamo e non vogliamo certo essere un mobilificio, ma abbiamo portato il più avanti possibile la nostra idea di servizio a chi produce mobili, aggiungendo progressivamente valore aggiunto al lavoro di nonno Agostino!”.
Non posso non chiederle quanto hanno pesato le tecnologie in tutto questo…
“Moltissimo: noi siamo e vogliamo essere prima di tutto produttori, industria, e per quantità senza alcuna deroga sulla qualità gli investimenti negli “strumenti” devono essere prioritari. Abbiamo sempre scelto tecnologia tedesca e da qualche anno abbiamo iniziato a lavorare con Ima, più vicina di altri al nostro concetto di customizzazione, di qualità, di ricerca. Le nostre macchine devono saper fare cose “speciali”, essere estremamente flessibili e parte di quel percorso di personalizzazione, di qualità assoluta e di innovazione continua che per Cleaf è fondamentale: non è una sfida semplice anche per i migliori costruttori di tecnologie essere parte di un processo che deve portare a quella qualità che il mondo ci riconosce, a un catalogo che comprende 600 carte decorative e 60 finiture, dunque potenzialmente 36mila prodotti… e in questo mare magnum noi navighiamo posizionando i nostri prodotti in modo da intercettare le necessità di qualsiasi tipologia di cliente, così da essere vicino a tutti coloro che potrebbero avere bisogno dei nostri decorativi.
Fra i nostri clienti abbiamo l’onore di contare i più importanti gruppi mobilieri tedeschi e italiani, ma anche realtà di piccole e medi dimensioni per le quali poter disporre di un partner con tutte le tecnologie necessarie per fornire loro ogni decorativo di alta qualità nelle quantità volute è un importante vantaggio. Per poter dare questa risposta bisogna poter disporre di una capacità produttiva adeguata.
L’industria del semilavorato è cresciuta molto negli ultimi decenni, rispondendo alla necessità dei produttori di mobili di ottimizzare i costi e al tempo stesso di attivare sinergie che siano anche di stimolo, che propongano nuove possibilità ai loro arredi. Si crea, di fatto, un vero e proprio network di specificità, di scambio di informazioni e di competenze dalle quali possono nascere nuove visioni, confronti, esperienze… in fondo è quello che noi stiamo di fatto vivendo insieme a Egger. E queste dinamiche sono fondamentali se si vuole essere sempre sulla cresta dell’onda. E in tutto questo c’è ancora tantissimo spazio per la creatività, perché l’architetto, il designer sono sempre alla ricerca di qualcosa che faccia la differenza. Sotto questo punto di vista sono loro il fulcro del nostro lavoro e anche in questo caso tutto inizia da un confronto, un dubbio o da una visione alla quale dare corpo”.
Quanto sono cambiati i decorativi in tutti questi anni?
“Moltissimo: alle superfici si chiedeva di essere lucide, colorate, diverse. Oggi, invece, domina la riproduzione del legno al quale si affiancano in modo sempre più evidente materiali come cemento, pietre, metalli…
Sul legno si è lavorato davvero molto, creando pannelli e bordi che appaiono estremamente vicini al legno vero, ma permettendo all’architetto di poter disporre di un materiale standard, omogeneo, disponibile in modo continuativo, senza difetti. Noi diamo, se vuole, ciò che l’occhio chiede di vedere: diamo pietre, metalli, legni, colori o qualsiasi altra texture, ma stese su un materiale, su un pannello o un bordo che possano essere lavorati con semplicità, in qualsiasi misura sia necessaria, in qualsiasi quantità e con la massima – lo ribadisco – omogeneità, tutte richieste che difficilmente potrebbero essere soddisfatte partendo da materiali naturali, se non con costi decisamente elevati e, dunque, non alla portata di tutti. Potremmo arrivare a dire che buona parte del nostro lavoro consiste nel seguire la moda, come per l’abbigliamento. Se una maison lancia una certa visione molte altre la seguiranno e così accade nell’arredo. Basta che un architetto famoso inizi a usare un determinato legno, una pietra o un metallo ed ecco che tutti i nuovi arredi si colorano immediatamente della stessa sensazione estetica”.
Un mondo, quello del mobile, anch’esso profondamente cambiato…
“Negli ultimi trent’anni è cambiato in modo irreversibile: oggi possiamo fare mobili di altissimo livello con prodotti “artificiali”. E mi lasci dire che noi di Cleaf siamo molto bravi, sappiamo fare benissimo il nostro lavoro, ma essere qui, in Brianza, al centro di un sistema produttivo che è il riconosciuto cuore creativo del “made in Italy” del mobile, ci permette di raccogliere stimoli fondamentali. È stato il forte, intenso, ricco circolo virtuoso fra domanda, offerta, possibilità, tecnologie, materiali e distribuzione che ci ha fatto crescere e ha fatto crescere l’intero mondo del mobile.
E deve far riflettere che all’ultima edizione del Salone del mobile di Milano abbiamo esposto anche di noi di Cleaf, certificando di fatto non solo il ruolo dei materiali nuovi in quello che per decenni è stato il tempio del legno, ma anche la funzione di una certa parte della produzione di semilavorati e forniture”.
E guardando al domani?
“Il servizio sarà sempre la chiave di volta, in una produzione sempre più customizzata sia per l’architetto che per l’industria. Stiamo parlando di prodotti già maturi, ma vogliamo mettere a punto nuove linee di sviluppo per offrire nuove chiavi di lettura. Senza dimenticare che il mondo post-coronavirus sarà completamente diverso, frutto di una guerra che non è ancora finita. Dovremo adeguarci, cambiare, proporre prodotti e instaurare un rapporto diverso con il cliente: aumenterà il tempo dell’interazione perché i mezzi con i quali comunichiamo ora permettono un confrontarsi continuo.
Cambieranno anche i prodotti, avremo superfici più “sicure”, facili da pulire e disinfettare! Una delle sfide sarà proprio alzare l’asticella in questi argomenti.
Le aziende dovranno concentrare buona parte dei loro sforzi nell’immaginare come potrebbe essere fra cinque o dieci anni e in questo – riprendo un concetto sul quale ci siamo già soffermati – è fondamentale il confronto, l’accesso a informazioni e esperienze diverse. Anche in questo la nuova storia iniziata con Egger ci sarà di aiuto, perché insieme potremo avere una visione completamente diversa, perché la nostra responsabilità è saper e volere guardare più lontano. E la Brianza sarà sempre al centro delle nostre emozioni, delle nostre “percezioni”: è indubbio che abbia attraversato una stagione molto difficile, ma qui c’è e ci sarà un tessuto vitale, un cuore, aziende stratosferiche… i gruppi continueranno inevitabilmente a crescere, perché oggi bisogna sempre avere il mondo come prospettiva e per potervi agire con successo bisogna avere persone, energie e capitali importanti, ma il tessuto economico e sociale di questo distretto permetterà evoluzioni che altrove sarebbero con tutta probabilità più complesse. In Cleaf siamo convinti che, alla fine, la passione, il cuore abbiano un peso determinante… e in fondo anche noi siamo una azienda famigliare che vende il risultato dei propri pensieri, della propria voglia di ascoltare e condividere, di investire e partecipare…”.