La strada è segnata: l’industria, l’economia devono fare finalmente i conti con il pianeta e sono sempre più le norme che impongono una nuova visione del “fare economico” che tenga conto di valori troppo a lungo dimenticati.
La sostenibilità è uno dei pilastri sui quali si deve fondare l’economia del futuro. Non è una frase a effetto, ma la verità che emerge guardando all’evoluzione del vivere comune, in tutte le sue espressioni. Si sta finalmente facendo largo la necessità di una relazione diversa con l’ambiente, di una visione diversa dei prodotti e dell’uso delle risorse necessarie. Un discorso chiaro, univoco, che però impone l’adozione di tutta una serie di strumenti che mettano in una relazione più efficace molti aspetti della nostra vita.
Una attività multiforme sulla quale anche l’Unione europea si sta muovendo con decisione e, soprattutto, con una chiara visione di come dovrà essere il futuro.
Lo abbiamo visto con il recentissimo regolamento sui nuovi limiti delle emissioni di formaldeide, di cui parliamo a pagina 16, e lo si vede in altri provvedimenti che sono in avanzata fase di attuazione.
Ne abbiamo parlato con Matilde Ceschia di Catas, impegnata nelle attività del noto laboratorio legato alle analisi dell’impatto ambientale. Catas, infatti, da diversi anni offre fra i propri servizi la possibilità di calcolare concretamente l’impatto ambientale di un prodotto, dalla sua progettazione fino al suo disassemblaggio, sulla base delle norme ISO 14040 (“Gestione ambientale, valutazione del ciclo di vita, principi e quadro di riferimento”) e ISO 14044 (“Valutazione del ciclo di vita, requisiti e linee guida”), passo indispensabile per poter arrivare all’ottenimento di un “passaporto green”, una carta di identità ambientale oggettivamente riconosciuta. Il suo è un osservatorio privilegiato per guardare a tutto ciò che si muove anche a livello normativo e che indica chiarezza che gli scenari sono veramente cambiati….
“Su questi temi c’è una coscienza sempre più forte – ci dice la dottoressa Ceschia – e ogni giorno raccogliamo l’interesse delle aziende, soprattutto quelle meglio strutturate, verso la determinazione dei valori “Lca-Life Cycle Assessment” di un prodotto.
Siamo ancora agli inizi, anche perché si tratta di un lavoro complesso, che comporta la raccolta di moltissimi dati relativi a tutti gli elementi che sono in qualche modo connessi alla produzione di un bene, dalle tecnologie impiegate ai materiali, dalla energia assorbita agli scarti, solo per citare qualche esempio.
È un lavoro che evidentemente si fa ancora più impegnativo quando si tratta di calcolare l’“impronta” di un bene complesso, come potrebbe essere una cucina: in questo caso gli elementi da considerare sono davvero moltissimi e riguardano ciascuno dei componenti, dai pannelli al top, dagli elettrodomestici alle parti elettriche. È evidente che aumentando il numero delle aziende che richiederanno questi dati arriveremo a costruire un vero e proprio database, una libreria dell’impatto ambientale di tutto ciò che è parte di un mobile e a questo punto calcolare l’indicatore “Lca” anche di un arredamento complesso sarà molto più semplice e veloce”.
Come funziona il sistema?
“Le aziende interessate vengono coinvolte nella stesura di un documento che è in realtà una grande, minuziosa raccolta di dati e informazioni che fotografa il processo di produzione dal punto di vista ambientale, documento che viene completato attraverso la presenza dei nostri tecnici nell’azienda che lo ha richiesto. A noi di Catas elaborare questa mole di dati secondo un preciso protocollo regolato dalle norme in vigore per arrivare a determinare quello che potremmo chiamare il “coefficiente Lca”.
Esiste poi un secondo, possibile passo, ovvero la volontà da parte dell’azienda di ottenere una etichetta ambientale, una vera e propria carta di identità green che impone il controllo da parte di un organismo terzo che controlla il nostro lavoro e rilascia l’etichetta.
Si tratta di un percorso importante che nasce indubbiamente dalla coscienza degli imprenditori o dei vertici di una impresa verso l’ambiente e l’impatto dell’uomo sul pianeta, un tema immenso che viene calato nella realtà di una impresa in modo molto concreto e costruttivo, perché stiamo parlando di uno strumento che consente di “guardarsi dentro”, di scoprire possibilità di miglioramento e di ottimizzazione dei cicli produttivi, delle attività di acquisto, della gestione delle persone.
Senza sottovalutare che fra qualche anno poter apporre una qualche etichetta che testimoni in modo oggettivo la effettiva sostenibilità di un bene sarà o quanto quel bene ha impattato sull’ambiente sarà oggetto di grande attenzione da parte del consumatore finale”.
Una tendenza che pare essere fortemente sostenuta da una serie di iniziative dell’Unione europea che si muovono chiaramente in una certa direzione…
“Assolutamente sì”, continua Matilde Ceschia. “L’Europa sta lavorando per raggiungere gli obiettivi di neutralità climatica entro il 2050 e negli ultimi tempi stiamo assistendo al concretizzarsi di questa in diversi atti di grande importanza, documenti sulla base dei quali saranno definiti regolamenti e direttive che entreranno in vigore nei prossimi anni.
A parte il recentissimo regolamento sulle emissioni di formaldeide, che sono certa interessa moltissimi lettori di Xylon, vorrei richiamare la loro attenzione sulla recente pubblicazione di un draft che porterà a quella che viene definita “Direttiva Green Claims”, che ha come scopo fare ordine in quella pletora di “etichette green” che negli ultimi anni sono spuntate come funghi e che spesso nulla anni a che vedere con la certificazione di un comportamento virtuoso da parte delle imprese. Troppo spesso assistiamo a operazioni di facciate, di “green washing”, come si usa sempre più spesso dire. L’Europa si sta muovendo per proteggere il consumatore finale, perché possa avere la certezza che dietro l’etichetta ambientale che accompagna un prodotto qualsiasi ci sia effettivamente una impresa coscienziosa e che ha investito perche il bene che esce dai suoi cancelli sia il più etico ed ecologico possibile. Un obbiettivo che sarà raggiunto eliminando tutte quelle etichette che non nascono da precisi riferimenti tecnico-scientifici e non siano verificate da un ente terzo indipendente. Una direttiva che dovrebbe vedere la luce nel 2024 e che porterà alla definizione di un regolamento sulla materia che entrerà in vigore dal 2027. In questo lasso di tempo ogni Paese membro dell’Unione dovrà nominare un ente e stabilire una procedura per determinare quali dovranno essere i criteri di validità delle etichettature presenti sul territorio nazionale. Un cambio di passo sostanziale che avrà un enorme effetto immediato sulla percezione di questi valori da parte del consumatore finale”.
Dottoressa Ceschia, cos’altro bolle in pentola?
“C’è un altro, importante regolamento – dunque una norma che dovrà essere recepita da tutti i Paesi membri – in preparazione, il cosiddetto “Diritto alla riparazione” che, in estrema sintesi, stabilisce il diritto del consumatore a chiedere e ottenere la riparazione del proprio bene oltre i due canonici anni di garanzia. Questo significa che il produttore – direttamente o attraverso laboratori o centri di assistenza esterni – garantisca la riparabilità, informando l’acquirente all’atto dell’acquisto delle modalità per poter accedere a questo diritto, che ovviamente non sarà gratuito. Verrà creata una piattaforma digitale che renderà molto semplice poter accedere a questo servizio che sarà attivato, secondo le prime informazioni, per qualsiasi prodotto, ovviamente con limiti e tempistiche diverse.
A quanto sappiamo oggi il primo elenco dei prodotti che potranno godere del “Diritto alla riparazione” faranno parte gli elettrodomestici bianchi, gli apparecchi di refrigerazione, apparecchiature elettronici, server e altri piccoli elettrodomestici…”.
… e quando toccherà al mondo dell’arredamento?
“Difficile dare una risposta sui tempi per quanto i temi dell’assemblaggio, del disassemblaggio e della riparazione anche dei beni per l’arredamento siano ormai all’ordine del giorno anche in ambito En, dunque della definizione di norme e standard a livello europeo. Potrebbe essere che il diritto alla riparazione di mobili e arredi appaia dunque prima in norme volontarie che in regolamenti europei “obbligatori” per tutti gli Stati membri, ma la strada è definita”.
Finalmente la durabilità, aumentata dagli interventi di riparazione, diventa un valore…
“.. proprio così e potrebbe essere la fine di quell’“usa e getta” che è indubbiamente fra le cause della drammatica situazione ambientale del nostro E le dirò di più: c’è un altro regolamento su cui l’Unione europea sta lavorando e che annovera la durabilità fra i suoi valori. Mi riferisco al regolamento “Regulation on ecodesign for sustainable products”, che, di fatto, taglia la testa al toro, in quanto stabilisce che nel mercato europeo potranno circolare solo prodotti sostenibili: non sarà possibile immettere nel mercato prodotti che non abbiano tutta una serie di requisiti e valori, fra cui durabilità, basse emissioni, riparabilità, eco-design, energia utilizzata, riciclabilità… un protocollo rigoroso e che stabilisce che sia il produttore a dover assicurare il rispetto di tutto questo. Una responsabilità che verrà imposta anche alla industria extraeuropea, con precise responsabilità del primo importatore se il bene non dovesse rispondere ai requisiti previsti dal regolamento che si prevede sarà pubblicato – così come i primi “atti delegati” con i quali saranno definiti i requisiti per ogni categoria di prodotto – l’anno prossimo, per entrare in vigore dal 2027. Anche in questo caso l’applicazione del regolamento verrà progressivamente estesa a diverse famiglie di prodotti e i mobili dovrebbero essere nella prima “tranche”, insieme a tessili e alla elettronica di consumo”.
Tanta, tantissima carne al fuoco per un banchetto che ha convitati noti ma che questa volta non potranno gozzovigliare dimenticando di sparecchiare. Perdonate la battuta: il tema è dei più seri, perché ne va del destino del pianeta e di molto altro che ben sapete. L’industria dovrà adattarsi? Dimostrare – e ci riferiamo soprattutto alla industria italiana e non solo di settore – tutte le proverbiali capacità di adattamento e flessibilità? Forse rinunciare a qualcosa? Può darsi, ma è indubbiamente venuto il momento di spalancare le porte a strutture economiche nuove, diverse, responsabili che dovranno fare i conti anche con un consumatore sempre più informato e pronto a scegliere anche in base a precisi valori. Possiamo scommetterci tutti!