Cala ancora, come era prevedibile, l’indice degli ordini raccolti dai costruttori italiani di macchine utensili nel secondo trimestre 2020. In particolare, secondo la rilevazione elaborata dal Centro Studi & Cultura di Impresa di Ucimu-Sistemi Per Produrre, nel periodo aprile-giugno, l’indice ha registrato una flessione del 39,1 per cento rispetto allo stesso periodo del 2019. Il risultato è stato determinato sia dalla riduzione degli ordinativi raccolti dai costruttori italiani sul mercato interno (-44,7 per cento) sia dal calo registrato sul mercato estero (-37,8 per cento).
Questo il dato effettivo. Occorre però considerare che questa rilevazione risulta in parte falsata perché nel periodo di riferimento è compreso anche il mese di aprile, in cui le imprese sono state completamente chiuse a causa del lockdown.
“Nel mese di aprile – ha affermato Massimo Carboniero, presidente di Ucimu-Sistemi Per Produrre – le imprese costruttrici di machine utensili come buona parte dei clienti sono rimaste chiuse, bloccando sia l’attività produttiva che quella commerciale. Tutto questo ha decisamente influito sul risultato complessivo del trimestre che mostra una situazione difficile per chi opera nel manifatturiero. L’incertezza generata dalla pandemia e la sua diffusione asincrona nelle diverse aree del mondo complica le cose e, indubbiamente, frena gli investimenti in sistemi di produzione, ma noi costruttori italiani rileviamo qualche piccolo segnale di ripresa soprattutto legato al mercato interno”.
E le previsioni per il futuro?
“Gli investimenti in nuove tecnologie di produzione dovrebbero tornare a salire. La domanda di nuove macchine utensili in Italia è attesa in crescita, del 31,5 per cento, a oltre 3,5 miliardi di euro. Anche l’Europa dovrebbe mostrare vivacità, incrementando del 19,5 per cento il consumo, sfiorando così i 18 miliardi di euro. L’Asia, con la Cina in testa, dovrebbe ritrovare lo slancio perduto, segnando una crescita della domanda del 35,3 per cento pari a 34 miliardi, così come l’America i cui investimenti in nuovi sistemi di produzione dovrebbero raggiungere il valore di 11 miliardi di euro, il 31 per cento in più rispetto al 2020. Con queste indicazioni – ha commentato Carboniero – l’auspicio è che realmente il peggio sia alle nostre spalle e che i prossimi mesi dell’anno possano essere caratterizzati da una inversione di tendenza che precede il recupero atteso nel 2021”.
“D’altra parte, con riferimento al Piano Transizione 4.0, il credito di imposta, scelto come formula di incentivo in sostituzione di super e iperammortamento, è senza dubbio strumento valido e adeguato, ma rischia di non sortire gli effetti sperati perché il cambiamento non è stato comunicato in modo chiaro e perché l’effetto di questo piano può essere limitato, a causa del clima di generale incertezza. Per questo le misure del piano dovrebbero diventare strutturali, tali da coprire un periodo di almeno tre anni, così da permettere alle imprese di programmare nel tempo gli investimenti”.
“Alle autorità di governo chiediamo di intervenire sui fattori strategici per l’industria italiana: innovazione tecnologica e internazionalizzazione, risorse umane e costo del lavoro, finanza e patrimonializzazione. Interventi da fare subito, concretamente, per un vero piano di rilancio dell’economia italiana. Di fronte al profondo cambiamento che stiamo vivendo, le aziende hanno bisogno poi di persone preparate e aggiornate secondo i nuovi contenuti del lavoro. Ciò deve avvenire sia all’interno delle imprese, sia nelle scuole, favorendo anche il raggiungimento di conoscenze intermedie fra il diploma e la laurea, potenziando gli Istituti Tecnici Superiori. In considerazione poi dell’alto tasso di disoccupazione giovanile per facilitare l’ingresso nel mondo del lavoro, dovrebbe essere prevista una sensibile riduzione del cuneo fiscale per almeno cinque anni dal momento dell’assunzione di un giovane”.
“Ultimo aspetto da considerare per assicurare competitività al sistema delle imprese italiane è quello della solidità finanziaria, problema riemerso in tutta la sua gravità in questi mesi. Le aziende sono state chiuse a lungo, senza poter produrre, fatturare e incassare. Il provvedimento previsto dalle autorità di governo volto a finanziare le imprese con una liquidità, garantita dallo stato e fornita dalle banche, risulta un corretto strumento per ovviare a questo problema contingente, a patto che sia reso operativo nell’immediato e sia semplificato il più possibile, liberando cioè la richiesta di finanziamento da tutti quei passaggi burocratici che allungano inutilmente le tempistiche e, eventualmente, come fatto da altri paesi, includendo una quota di finanziamento a fondo perduto.
“Una volta tamponata l’emergenza – ha concluso Massimo Carboniero – credo vadano riconsiderate iniziative ad hoc per incoraggiare la capitalizzazione delle imprese, così che le aziende possano affrontare una possibile futura crisi con spalle più larghe. Una delle conseguenze della crisi globale del 2009 è stata la perdita di molte aziende, anche valide, che sono state acquisite da concorrenti stranieri per una frazione del loro valore: ciò non deve assolutamente più succedere”.