La Commissione europea ha stabilito un nuovo limite per l’emissione di formaldeide dai materiali e dai prodotti finiti: il Regolamento 2023/1464, pubblicato il 14 luglio, dimezza i valori precedenti fissando a 0,062 milligrammi per metro cubo il limite per i materiali a base legnosa.
E mobili e prodotti a base legno sono dunque in prima fila, una filiera che si trova a fare i conti con una nuova disposizione che manda in soffitta la consolidata classificazione E1, fino ad oggi lo standard riconosciuto e adottato legalmente da molti Paesi europei, e che per la prima volta dovrà obbligatoriamente essere applicata in tutta l’Unione Europea, oltre a riguardare ovviamente anche le importazioni.
Le imprese del settore avranno tre anni per adeguarsi, periodo di tempo necessario perché l’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA) definisca, con il coinvolgimento delle associazioni e delle realtà europee coinvolte, le linee guida circa i metodi di prova.
Insomma, continua la corsa verso la riduzione di questa sostanza considerata dannosa per la salute umana, una questione che tiene banco da anni e che abbiamo voluto approfondire grazie all’aiuto di Franco Bulian, direttore di Catas, il laboratorio di test e certificazione che non ha bisogno di presentazioni.
“Devo dire che io c’ero quando si è iniziato a parlare di formaldeide, tema salito agli onori delle cronache nel 1989, quando l’Organizzazione mondiale della sanità segnalò la necessità di mantenere le concentrazioni di questa sostanza inferiori a 0,124 milligrammi per metro cubo a garanzia della salubrità degli ambienti domestici e di vita collettiva più in generale. Poco più di una raccomandazione che tuttavia portò molti Paesi, prima fra tutti la Germania, a considerare con particolare attenzione l’argomento. Sotto i riflettori i pannelli derivati dal legno, nella cui produzione la formaldeide è utilizzata, che furono oggetto di una stagione intensa nella quale si studiarono metodi di prova che fossero condivisi e accettati a livello europeo. Un lavoro che portò alla nascita della famosa “classificazione E1”, ovvero una sigla che contraddistingue tutti i prodotti derivati dal legno rispettosi delle indicazioni della Organizzazione mondiale della sanità.
Il metodo definito è di fatto una ragionevole convenzione – che, peraltro, varrà presumibilmente anche per le prove che determineranno il rispetto dei nuovi limiti – costruita sulla base di rigorosi metodi scientifici che stabiliscono una ragionevole correlazione fra i risultati di laboratorio e la quantità delle effettive di emissioni negli ambienti”.
E l’Italia?
“L’Italia fa propria questa enorme mole di lavoro solo nel 2008, rendendo obbligatorio l’uso del pannello “E1”. Lo stesso era accaduto e accadde anche in altri Paesi europei, ma non in tutti. Negli anni seguenti associazioni e consorzi più “virtuosi” hanno propugnato limiti ancora più severi, ma la realtà normativa è rimasta tale fino ai nostri giorni, quando dopo la classificazione della formaldeide quale sostanza cancerogena, l’Unione Europea ha imposto a tutti gli Stati membri, senza eccezione alcuna, che le emissioni prodotte da materiali a base legnosa abbiano – lo ribadisco – una concentrazione massima di 0,062 milligrammi per metro cubo, esattamente la metà di quanto previso dalla classificazione nata dal “consiglio” della Oms nel 1989.
E fra tre anni, più precisamente dall’agosto del 2026, la filiera dovrà avere a che fare solo ed esclusivamente con pannelli che rispettino questi limiti”.
Possiamo dire che la questione formaldeide è ufficialmente chiusa?
“Direi proprio di no. Il legislatore, ponendo giustamente la salute umana al primo posto, ha in realtà cercato un nuovo punto di incontro fra gli aspetti sanitari e quelle che sono le inevitabili necessità del mondo produttivo, fra quello che si vorrebbe e quanto è effettivamente possibile fare.
Come i suoi lettori ben sanno, tutti i pannelli a base legno, sia vergine che riciclato, sono fatti da elementi unitari (trucioli, sfogliati o fibre) che devono esser tenuti insieme da qualcosa, un “legante” per dirla in termini tecnici; questo qualcosa è solitamente un adesivo ureico, nella cui composizione c’è appunto la formaldeide. Il problema è che questo adesivo si degrada per effetto dell’umidità e la formaldeide, generandosi all’interno del pannello in seguito a questo fenomeno, ed essendo notoriamente gassosa, può facilmente fuoriuscire dai pannelli e quindi dai mobili e dagli elementi d’arredo che ci circondano. Un processo ancora più significativo, dunque, in ambienti caldi e umidi…
Mi lasci aggiungere che la formaldeide è una sostanza ubiquitaria, ovvero presente un po’ dappertutto. Ripeto spesso ai miei interlocutori che negli spazi interstellari c’è poca materia, ma di questa una buona parte è proprio formaldeide! È presente nel nostro organismo, nel sangue, nel legno stesso… il massimo obbiettivo raggiungibile sarebbe quello di produrre pannelli che abbiano un contenuto di formaldeide pari a quello del legno da cui nascono.
Non solo: viviamo in ambienti sempre più isolati anche dal punto di vista termico, per cui qualsiasi composto organico volatile liberato da mobili, materiali edili e quant’altro difficilmente viene disperso”.
Tempi duri per i produttori di mobili?
“Direi proprio di no: i produttori di pannelli sono già in grado di offrire prodotti che rispettano questo nuovo limite. Potremmo forse assistere a qualche “aggiustamento” sul versante dei costi o delle disponibilità, ma ci sono tre anni di tempo per lavorare affinchè questa transizione avvenga senza grossi problemi.
Ci si confronterà con il fatto che nel mondo esistono comunque regole diverse: come abbiamo già detto questo nuovo regolamento europeo dovrà essere applicato da tutti gli Stati dell’Unione. Per truciolare e Mdf stiamo parlando di un limite inferiore anche alla severa norma vigente negli Stati Uniti, il che significa – di contro – che un truciolare o un Mdf che risponda ai limiti previsti dalle normative “Carb” (California Air Resource Board, ndr) o “Epa” (Environmental Protection Agency, ndr) non è detto che possano essere importati e utilizzati in Europa. Per il compensato i limiti statunitensi sono molto bassi, ma abbiamo ancora tempo per trovare un nuovo “allineamento” a livello mondiale.
Aggiungo quella che a mio avviso è una sostanziale differenza fra il mercato europeo e quello americano: le leggi americane pretendono che sia un ente terzo a certificare le emissioni di un pannello, mentre in Europa è il produttore che si assume la responsabilità di dichiarare che il prodotto che propone al mercato sia conforme alle normative. In altre parole, nel nostro continente non esiste di fatto un obbligo di “certificazione”, per quanto sia un comportamento responsabile oramai largamente diffuso sottoporre la propria produzione alle verifiche e alle analisi di un laboratorio specializzato e riconosciuto per determinare e, appunto, certificare le emissioni a norma di legge.
Senza dimenticare che le prove possono determinare e comprendere eventuali situazioni nuove: la riduzione della presenza di formaldeide negli adesivi utilizzati potrebbe avere effetti sulle caratteristiche prestazionali del pannello? Potremmo trovarci con pannelli di qualità diversa da cui nasceranno prodotti “diversi”? Gruppi industriali e aziende, con la collaborazione di realtà esterne, stanno lavorando da tempo e costantemente su questi aspetti, al fine di poter garantire e certificare la qualità e la validità del proprio prodotto.
Mi lasci concludere dicendo che non scommetterei sul fatto che il nuovo regolamento permetta di raggiungere una situazione che accontenti tutti, che sia accettata e condivisa una volta per tutte a livello planetario. Sulla formaldeide avremo ancora molto lavoro da fare, per quanto si sia davvero fatto moltissimo!”.
A cura di Luca Rossetti